venerdì 29 gennaio 2010

A loro la parola#2

Questa volta è Mattia a trovare qualche minuto da dedicare alle parole e a qualche riflessione sul suo progetto (che cambia titolo: Sukkubo, messa in scena del progetto Kane.ILOVESOCRATE).

Gli chiedo della complessità concettuale alla base del suo lavoro e della fase in cui si trova la produzione e quello che sgorga è un fiume in piena di parole dense di significato. Domande nelle domande che faranno riflettere qualunque artista alle prese, come lui, con la creazione. Primi su tutti i suoi compagni di viaggio.

“Il tema di questa mia prima creazione (“risoluzione del cubo di Rubik attraverso movimento algoritmico umano” ndr) ha una complessità contingente e ineluttabile, tanto da diventare in un certo senso emblema delle difficoltà sottese a qualunque processo creativo. E’ la difficoltà stessa a stimolare me e la mia aggressività emozionale (intesa, come in Latino, come mettersi in moto andare verso qualcosa/qualcuno). Sembrerà lapalissiano, ma per esprimere/comunicare un concetto complesso è proprio dalla più stringente complessità che si deve passare. Inoltre la difficoltà e il senso di costrizione sono alla base della nostra vita sociale, fatta di regole e strutture fisse, di omologazione, aspetti anch’essi affrontati nel mio lavoro…

Avendo una formazione principalmente teatrale, non so cosa significhi guardare il processo di creazione dal punto di vista di un danzatore propriamente detto. La danza è per me innanzitutto veicolo espressivo e il mio corpo uno strumento ad essa asservito. Ecco allora che da un lato c’è la ricerca sul movimento (che nel mio caso prende vita dall'interpretare un codice algoritmico) e dall'altro la resa scenica attraverso la quale tale ricerca acquista un significato espressivo. Altrimenti perché andare in scena? Qual è la necessità, se non comunicare, trasmettere dei contenuti? Ogni opera d'arte deve innescare delle riflessioni, non può essere semplice intrattenimento.

Quello in cui mi muovo è un percorso d’indagine creativa che alterna momenti felici e difficili. E’ uno stato di crisi perenne in cui c’è un tempo per tutto, c’è un tempo per far sedimentare gli elementi in gioco, per dare forma al contenuto. E’ dalla crisi che nasce la svolta, la crisi è movimento, cambiamento, quello che conta è avere la consapevolezza del processo in atto e mantenere chiarezza d’intenti”.

Due parole anche sull’esperienza al GdA, su pregi e difetti del percorso…

“Il GdA è un'ottima opportunità di crescita, sto incontrando molte persone con le quali relazionarmi e mettere in discussione il progetto. E' sempre utile sentire i differenti punti di vista di tutor e compagni, anche quando in apparenza mettono in confusione invece di aiutare. Fino ad ora è stata un’esperienza positiva, fatta forse eccezione per gli incontri con il pubblico avvenuti a dicembre, che ho percepito come prematuri, troppo violenti per un lavoro che ancora risiede in uno stato germinale ed è fragile, facilmente corruttibile.

Se poi dovessi avanzare un suggerimento, chiederei che l’offerta formativa (i ragazzi seguono lezioni di danza con diversi coreografi ndr), sia messa a punto in modo da renderla maggiormente aderente al percorso personale degli artisti e alla loro ricerca, in modo da non essere solo un utile strumento fisico e tecnico, ma anche una marcata occasione di crescita”.

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